Altro che Marco Polo che, con il padre Niccolò e lo zio Matteo, nel 1271 si avventurò sulla Via della seta per giungere alla corte del Gran Khan: noi qui nell’Oltregiogo abbiamo avuto Andalò da Savignone che nella prima metà del ‘300, gambe in spalla, si avventurò da buon giramondo, attraversando larghe pianure, impervi monti e irruenti fiumi sino a Kambalig, l’attuale Pechino, raccogliendo un grande sogno.
Il sogno che si inseriva nel disegno di un Papa dell’epoca, Innocenzo IV dei Fieschi, che vedeva di buon occhio questi viaggi come strumento di penetrazione cristiana in funzione antislamica in Oriente.
E Andalò da Savignone, partì alla volta di quelle terre lontane percorrendo via terra la strada della seta, ma da buon genovese ritornò via mare circumnavigando l’Asia e, dopo essere sbarcato a Bassora e attraversato l’attuale Iraq e la Siria dove fece sosta a Palmira (la sposa del deserto), arrivò ad Antioca sul Mediterraneo, dove da lì sbarcare a Genova fu un gioco da ragazzi.
Andalò andò in Oriente più che con lo spirito del mercante, con quello dell’avventura e con quell’idea che piaceva al papa, di portare un segno, anzi di lasciarcelo.
Proprio secondo quel detto antico: “Und’eli van stan, un’atra Zenoa ge fan” e cioè, dove i genovesi vanno, fanno un’altra Genova.
Questo si legge nel libro che Giovanni Meriana mi regalò con tanto di dedica il 9 dicembre 2001 e che conservo nella biblioteca dell’Inchiostro fresco come un caro ricordo del mio periodo genovese.
Oggi i cinesi stanno ripercorrendo l’antica Via della seta in senso inverso e stanno venendo da no, in Occidente da noi.
E nell’Occidente, tra i tanti, stanno privilegiando noi toccando in Europa, con il loro Presidente, Xi Jinping, come primo Paese, l’Italia.
Forse nel loro DNA è rimasta la nostra antica amicizia.
Gian Battista Cassulo