Cari amici de “l’inchiostro fresco”
Ho creato molti anni fa e precisamente nel 1998 questo giornale nella sua versione paesana, trasformandolo da quello che, nato nel 1985, era un foglio d’informazione prettamente culturale e politico, per il semplice motivo che ad un certo punto ho sentito l’esigenza di parlare di persone e di fatti e soprattutto di persone semplici e fatti di ordinaria vita sociale.
Il giornale dei paesi dunque, e così mi sono messo a cercare amici che dalle località circostanti a Capriata d’Orba, perché è lì che è nata questa idea editoriale ed è lì che è nata la prima vera redazione de “l’inchiostro”, mi inviassero corrispondenze parlando della vita minuta del loro paese.
Niente di più sbagliato. Se si esclude il “nocciolo duro” de “l’inchiostro” formato da quelle due o tre persone che ancora resistono, per il resto ho trovato solo gente che mi inviava “narcisissimi” articoli sulla loro personale attività oppure le classiche “quattro righe”, tanto per far vedere che facevano qualcosa e conseguire l’anelato patentino da Giornalista pubblicista.
Oggi casualmente, tramite una nostra lettrice, Nina Di Gregorio, sono incappato sul sito “Sicily Times. It” ed ho trovato questo articolo a firma di Nina Cardaci, pubblicato ieri (il 22 luglio 2019).
Nina Cardaci descrive la vita di paese negli anni Sessanta e traccia il profilo di due anziane signore Costanza, la paesana, e Zenaide, la cittadina.
Un racconto bello e toccante, tanto è vero che sul finire mi si sono inumiditi gli occhi.
Il paese è Basaluzzo (Al) e per leggere questa storia sono dovuto andare a sfogliare le pagine web di un giornale siciliano!!!!.
E allora mi chiedo: ma cosa fanno i corrispondenti de “l’inchiostro fresco”? Vale ancora la pena continuare a fare un giornale che si fa sfuggire queste notizie?
Chiedendovi scusa per la nostra scarsa voglia di andare a “vedere le cose di casa nostra”, vi propongo qui di seguito il racconto di Nina Cardaci, facendole i complimenti per la sua penna e per la sua sensibilità.
Gian Battista Cassulo
COSTANZA E ZENAIDE
di Nina Cardaci
(Tratto da “3 noci 9 mandorle e un coquì” )
1963 – Basaluzzo
Costanza
Costanza aveva poco più di sessanta anni e viveva proprio a fianco casa mia. La sua porta di ingresso distava dalla mia non più di due metri e nel mezzo una rete metallica faceva da confine, scendendo fino al piccolo cancello, delimitando così anche i due cortiletti. Era in pensione ed aveva lavorato al castello dei marchesi Pallavicino, facendo da tata al marchesino. Questo suo passato agli occhi di una bambina di dieci anni era a dir poco fantastico e io chiacchieravo volentieri con lei e la ascoltavo con interesse quando mi raccontava qualche episodio riguardante il marchesino.
Lei lo sapeva benissimo e allora mi chiedeva in continuazione dei piccoli piaceri tipo andargli a prendere un secchio di carbone nel magazzino o andargli a comprare qualcosa alla bottega o dal fornaio, promettendomi un nuovo racconto sul marchesino. Inutile dire che correvo appena mi chiamava ma l’avrei fatto comunque perché mi avevano insegnato ad aiutare quando c’era bisogno. Costanza pregava moltissimo e non usciva mai, anche perché camminava a fatica e col bastone. Non si era mai sposata proprio per il suo lavoro che l’aveva tenuta all’interno del castello per più di quaranta anni.
Tre o quattro volte all’anno il marchesino veniva a trovarla e le portava un sacco di cose. Quando lui se ne andava lei mi chiamava per farmi vedere che ancora era amata e ricordata. Sul tavolo c’era ogni ben di Dio: pasta, riso, zucchero, caffè, olio, aceto, fagioli e ceci secchi, formaggini, dadi per brodo, frutta di stagione, saponette e diverse scatole di Idrolitina per fare l’acqua frizzante. Oltre alle vettovaglie ogni volta c’era anche un piccolo regalo come una coperta, le pantofole, una pentola nuova.
Una volta la trovai particolarmente felice perché il suo marchesino le aveva regalato una piccola radio con ben due altoparlanti. La felicità assoluta. La radio vecchia si era rotta da poco e quindi giungeva a proposito quella nuova color panna. Non mi capitò di vedere mai il marchesino da Costanza, solo una volta in paese vidi che salutavano quasi con un inchino un uomo adulto come il mio papà o forse più grande, appena sceso da una macchina sportiva, (senza tetto dissi) di color celeste.
“Buon giorno signor marchesino!”
“È lo stesso marchesino?” pensai e allora mi informai. Era proprio lui, una delusione totale, me l’aspettavo bambino o ragazzino.
Riflettendoci poi, era chiaro che come tutti gli esseri viventi anche lui era cresciuto, anche se per Costanza era rimasto il marchesino, pure a quasi cinquanta anni.
Costanza mi piaceva veramente, solo per tre cose non la sopportavo. La prima era che mi offriva caramelle alla menta, un gusto che non mi è mai piaciuto. La seconda cosa era che mi faceva un sacco di domande sulla mia famiglia su argomenti che nemmeno conoscevo e che comunque non avrei mai raccontato perché i miei non volevano che raccontassi di noi proprio a lei.
Era risaputo che Costanza raccontava di tutto a tutti. Lei non usciva mai ma sapeva sempre prima di altri le novità del paese. Il pomeriggio c’era sempre qualcuno che veniva a trovarla e nella bella stagione si sedevano davanti casa all’ombra e si informavano a vicenda. La terza cosa che non mi piaceva è che alzava il volume della radio quando cantava Sergio Endrigo che all’epoca non gradivo per niente. Adoravo Celentano e Rita Pavone che lei non voleva neppure ascoltare. “Non cantano, urlano” diceva.
Zenaide
Zenaide invece era affascinante, una vecchietta genovese fuori dagli schemi.
In paese veniva soltanto d’estate e si fermava per due o tre mesi rivoluzionando l’intera corte grande dove abitavo io e dove si affacciavano una decina di abitazioni. Zenaide era simpatica, esile e dinamica. I capelli tutti bianchi le incorniciavano il viso rugoso e magro. Era perennemente abbronzata e di buon umore e canticchiava sempre quando camminava dondolandosi. Criticava tutto e tutti raccontando di come si viveva bene a Genova e che in paese eravamo indietro anni luce. Portava una grande borsa a secchiello di pelle color aragosta ripiena come un uovo con mille cianfrusaglie.
Immancabilmente lasciava le chiavi di casa da qualche parte e spessissimo quando tornava da fare visita a qualche amica passava da Costanza a farla arrabbiare un po’ e a raccontarle qualcosa di buffo. Le sentivo ridere e di tanto in tanto Costanza esclamava qualche “Mio Dio” scandalizzata per chissà quale cosa. Zenaide si divertiva a stuzzicare il pudore e il rigore caratteristico del carattere e della vita della tata del marchesino. Lei abitava a Genova e conosceva il mondo mentre in paese eravamo tutti bigotti e benpensanti a vanvera, queste le sue parole, papale, papale.
Benpensante non mi sembrava una parola da usare per offendere qualcuno eppure Costanza si arrabbiava tantissimo quando la genovese gliela diceva e quindi la mandava via. Allora Zenaide la salutava con un “ciao bigotta” e ridendo se ne andava, lasciandola a borbottare. Era in quel preciso momento che si metteva a rovistare nella borsa e non trovando le chiavi le sfuggiva “Belìn che mi sono persa le chiavi anche oggi”.
In genere Zenaide arrivava verso la fine di maggio e se ne tornava a Genova verso la fine di settembre. Un anno però per chissà quale motivo personale verso la metà di luglio se ne andò da un giorno all’altro e nessuno sapeva cosa era successo. Tornò un po’ dopo ferragosto a ridosso della festa patronale di San Gioacchino e ci allarmammo molto nel vederla ancora più magra del solito, pallida pallida.
Passava davanti al cancelletto silenziosa e con lo sguardo a terra. Faceva tanta tenerezza. Io non seppi mai cosa le fosse successo ma gli adulti ne erano a conoscenza e la trattavano con molto riguardo. Un giorno Costanza mi mandò da lei per invitarla a pranzo. Aveva preparato l’insalata di polpo, patate e olive taggiasche proprio per lei. La trovai che stava preparando la valigia per andare via la sera stessa. Mi volle regalare una collana con pietre verdi.
Non la vidi più.
La sua collana ce l’ho ancora.
Nina Cardaci
Ho letto con piacere il breve racconto che assomiglia a tante brevi storie di vita vissuta nei nostri piccoli paesi dell’Appennino.
Ricordo molti brevi spaccati di vita quotidiana del periodo che va dalla metà degli anni 60 e i primi anni 80 che meriterebbero di essere raccontati e cercherò dal canto mio di rispolverarli dalla memoria e magari raccontarli con qualche breve ma suggestivo video racconto.
Fausto