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VIVERE IN TEMPI DI EMERGENZA

Tra il 1972 e il 1973, in seguito alla chiusura del canale di Suez, reso impraticabile dalle guerre arabo-israeliane che martoriarono (e martoriano) quella terra divisa che ancora porta i segni della nefasta colonizzazione inglese, nel nostro Paese si pensò a razionalizzare la benzina e scattò l’austerity.

Non più auto per le strade alla domenica e negli altri giorni divieto assoluto di superare i cento chilometri all’ora, chiusi i cinema alle 22 e i locali pubblici entro la mezzanotte, insegne spente e anche il Telegiornale delle 20,30 anticipato alle 20 per permettere alle successive trasmissioni di terminare alle 23 per fare andare a nanna presto gli italiani.

La benzina schizzò alle stelle, ma poi, poco alla volta la pressione si allentò sino a che, nel 1974, le restrizioni al traffico (che avevano colpito anche le cosiddette “auto blu”) si allentarono e si passò alle targhe alterne, ma in noi che vivemmo quell’epoca il segno rimase.

Infatti durante l’austerty l’Italia non si perse d’animo e anch’io con i miei amici partecipai a quel rito collettivo di sdrammatizzazione che si era tradotto in una nuova socializzazione all’aria aperta.

Non più cinema, non più discoteche, non più TV, ma gite all’aria aperta.

Mai visti in quell’epoca tanti allegri scarpinatori e poi giù nelle cantine o su nelle soffitte a cercare un qualcosa da trasformare in un qualsiasi veicolo non a motore.

E così ecco che le strade d’Italia si riempirono di vecchie biciclette, improbabili tricicli, sidecar artigianali fatti abbinando una carrozzella con una bici, chilometrici tandem e così via.

Ma anche i cavalli e gli asini e addirittura qualche coppia di buoi fecero la loro parte.

Alla domenica ci trasformammo in tanti John Wanye e ogni cavallo era buono per farlo diventare il nostro Bucefalo.

Personalmente con il mio gruppo di amici la domenica si andava rigorosamente in bicicletta da Novi Ligure a Stazzano, al Pian delle Botti, in una bella cascina dove si affittavano cavalli e lì diventammo tutti esperti fratelli D’Inzeo, galoppando su quelle stradine che portavano a Serravalle o a Cassano, per poi, una volta ben sicuri di stare in sella, arrivare in groppa ai nostri destrieri sino a Novi e oltre.

Il mio cavallo, prima di comprare il mio grande Sambor, all’epoca si chiamava Gadir e me lo ricordo ancora come mi guardava un po’ infastidito quando, ancora un po’ “imbranato“, non sapevo spronarlo al tempo giusto e lui invece di muoversi stava fermo come una statua, tanto che un giorno Mario, l’affitta cavalli, mi disse: “Mi sembri il monumento a Garibaldi”, e giù risate a squarcia gola!!!!!

Tempi difficili quelli, ma bei tempi perché noi giovani dell’epoca riscoprimmo un valore che ancora oggi a distanza i quasi cinquant’anni personalmente mi porto dietro: quello della socializzazione, dello stare insieme e soprattutto di avere l’ambiente, o meglio “i miei posti” (l’Oltregiogo) come compagni imprescindibili per il mio, il nostro, modo di vivere.

Oggi viviamo un’altra emergenza, forse, anzi certamente più grave, ma il nostro senso pratico, disincantato e poetico allo stesso momento, che ci deriva dall’aver saputo sopravvivere nei secoli alle più diverse invasioni in questa nostra terra di confine e di passaggio, ci farà senz’altro superare anche questa nostra ennesima sofferenza, dalla quale certamente usciremo migliori di prima.

E questi due video che qui sotto vi allego ne sono la conferma!!!!

Gian Battista Cassulo

Nella foto d’apertura a sinistra Carlino su “Giorgio” in divisa da peones e a destra io su “Sambor” all’ippodromo di Novi Ligure, in procinto di cavalcare alla buena de dios!!!

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