“Il Vento dell’Antola” di Cristina Raddavero è la storia romanzata, nel filmato qui sopra presentata da Viviana Albanese, di un fatto realmente accaduto nel 1961 a Reneuzzi, piccola frazione di Carrega Ligure nell’alta Val Borbera al confine fra Piemonte e Liguria, ai piedi del Monte Antola
Oggi Reneuzzi è uno dei tanti paesi fantasma, abbandonato negli anni Sessanta della grande trasformazione dell’Italia. Un’antica leggenda narra che nel Vento dell’Antola vaghi lo spirito inquieto di “Daniele l’assassino” uno dei personaggi del libro. I nomi sono inventati, ma la vicenda è storicamente documentata.
Siamo nei primi anni 2000. Nora, una signora nativa di Reneuzzi, accompagna la nipote Livia, studentessa universitaria, in un viaggio a ritroso nel tempo, verso il cimitero di Reneuzzi, dove riposa il corpo di Marta, la protagonista del tragico fatto di sangue che segnò la fine del borgo già provato dalla migrazione verso le città, figlia di Nora. Reneuzzi era collegato alla frazione più vicina, Vegni, solo da un sentiero.
Qui nel 1961 viveva Nora. Fu l’ultima estate di vita del piccolo borgo arroccato, simbolo della montagna “invisibile” dell’Appenino. Quell’estate Daniele, un ragazzo fortemente legato alla sua terra, alla civiltà contadina, ai lupi dei quali si circonda, si innamora di Marta, sua cugina più giovane. Daniele sembra essere corrisposto da Marta, ma poi la ragazza decide di prendere la sua strada e lasciare il paesino. Alla fine dell’estate anche lei lascerà per sempre l’antico borgo di Reneuzzi per emigrare in città. Una scelta personale che segna anche la fine di un mondo. Daniele, nonostante la relazione con la disinvolta Valeria, non riesce a darsi pace.
L’estate trascorre tranquilla, tra feste patronali a Vegni, passeggiate, lavoro nei campi. Ma l’autunno è in arrivo. La mattina della partenza Marta è fremente di gioia ed eccitazione; Daniele, che per tutta l’estate ha dissimulato la sua rabbia, la invita per un’ultima passeggiata alla Bocca del Leone. E qui avviene la tragedia: Daniele uccide Marta, mosso da qualcosa di più dell’ “amore tossico” che oggi causa molte vittime fra le donne, per mano di uomini capaci di accettare un rifiuto. Daniele vaga fra i boschi per poi uccidersi a sua volta. E alcuni giorni dopo il suo corpo verrà ritrovato e sepolto assieme a Marta nel piccolo cimitero di Reneuzzi.
Questa tragedia renderà in qualche modo Reneuzzi un paese “maledetto” accelerandone lo svuotamento.
Cristina Raddavero è bravissima nel cogliere la vera anima di questa vicenda: la storia quella di un amore tossico, di un femminicidio, di un atto autolesionistico finale, forse dovuto a pentimento. Ma l’autrice ne coglie l’essenza di fatto simbolico: la morte di Marta e Daniele l’assassino è l’omicidio-suicidio non solo di due persone, ma anche di un mondo, di una civiltà contadina che oggi nelle grandi metropoli sembra lontanissima e che pure è distante da noi solo una cinquantina d’anni.
Nel libro si avverte una sorta di pietà delle protagoniste Nora e Lidia verso Daniele l’Assassino, un po’ come il Pescatore della canzone di De Andrè. Anche se leggendo ci vediamo davanti con struggimento lo svanire dei sogni di una ragazza di 18 anni pronta ad aprirsi alla vita.
Il viaggio di Nora e Livia è una specie di resa dei conti col passato e col nipote, l’assassino di sua figlia, di sé stesso e simbolicamente di un intero paese. E qualcosa di quell’antica società sopravvive oggi in quelle vallate, nelle persone che ci abitano o di cui sono originarie.
E leggendo il libro di Cristina viene voglia di fuggire da una quotidianità sempre più assordante e ridondante: oggi più che mai ci chiediamo se valesse la pena condannare a morte quell’antico modello di società invece che trasformarlo.
E viene voglia di salire sino a Reneuzzi, nella montagna dimenticata dell’Appennino, e sentire nel Vento dell’Antola il pianto di Marta e di Daniele l’Assassino.
Andrea Macciò