OGGI LA POLIZIA DI STATO CELEBRA I 40 ANNI DELLA LEGGE DI RIFORMA

Sul finire degli anni Settanta, a ridosso dei difficili “anni di piombo” che videro cadere 77 agenti di P.S., 27 Carabinieri, 5 Agenti di custodia e 4 Guardie giurate, in un’Italia che ancora tentava di uscire dalla stagione del terrorismo e della violenza politica, con tra i promotori il generale Enzo Felsani – che sin dal 1974 aveva sostenuto questa esigenza appoggiata nel 1976 anche dall’allora Ministro degli Interni, Francesco Cossiga – venne avviata la riorganizzazione della struttura organizzativa del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza

Tale processo legislativo si concluse nel corso dell’VIII Legislatura, quando il governo Forlani formato da una coalizione di Centro sinistra (DC – PSI – PSDI – PRI – SVP e Union Valdotaine), varò il 1° aprile 1981 la legge n.° 121 che “smilitarizzava” le forze di polizia trasformandole in un “corpo civile militarmente organizzato” dove i gradi vennero sostituiti con le qualifiche. La legge poi venne promulgata dall’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini.

Per ricordare questa ricorrenza, il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha voluto evidenziare l’importanza di questa legge con la pubblicazione di un libro dal titolo “La riforma dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza” scritto dal Prefetto Carlo Mosca, purtroppo scomparso pochi giorni fa, che di quella riforma è stato uno degli ispiratori.

Dopo il messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quello del Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese e del Sottosegretario Franco Gabrielli, nei 12 capitoli del libro si snodano i temi più significativi di quella riforma lontana nel tempo eppure ancora oggi attuale.

Ogni capitolo si arricchisce del contributo di riflessione da parte di alcune personalità, come il Cardinale Gianfranco Ravasi, il Ministro Marta Cartabia, il Procuratore generale Giovanni Salvi, il Prof. Michele Ainis, il Dott. Gianni Letta, il Prof. Giuliano Amato, e Marino Bartoletti, Eugenio Gaudio, Annamaria Giannini, Gaetano Manfredi, Antonio Romano, Maurizio Viroli.

Sono 181 pagine ricche di immagini, anche storiche, che ricordano il passaggio dall’Amministrazione militare di Polizia ad un’Amministrazione civile di garanzia, illuminata dallo spirito e dal dettato della Costituzione repubblicana, al servizio dei cittadini e delle Istituzioni democratiche del Paese.

La Redazione

La legge 121 in pillole

Gli obiettivi primari che la legge riforma si prefiggeva erano: l’unità delle diverse strutture che componevano il “mosaico-polizia”, il miglioramento dell’efficienza e una maggiore democraticità. Fino agli anni ’80 con la denominazione Polizia venivano indicate tre distinte organizzazioni:

• i funzionari di pubblica sicurezza che avevano la responsabilità della gestione degli uffici del Dipartimento, e di direzione degli uffici nelle questure e nei commissariati. Avevano inoltre la responsabilità della conduzione degli uffici e dei servizi di polizia giudiziaria e ordine pubblico;

• gli ufficiali, i sottufficiali ed i militari di truppa del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, che gestivano, secondo i rispettivi livelli di responsabilità, i servizi di polizia giudiziaria e ordine pubblico, nonché le specialità della polizia stradale, polizia ferroviaria, polizia di frontiera e polizia postale;

• le ispettrici e le assistenti del Corpo di polizia femminile, che si occupavano di prevenzione e repressione dei reati in materia di buon costume, di violenze sulle donne e sui minori.

Con la riforma imposta dalla legge n. 121 del 1° aprile 1981, queste tre diverse componenti furono fuse nella Polizia di Stato, “corpo civile militarmente organizzato” per la tutela dello Stato e dei cittadini da reati e turbative dell’ordine pubblico.

La nuova Polizia diveniva un corpo civile a tutti gli effetti aperto a uomini e donne. I gradi cambiarono nome, i ruoli furono ristrutturati con la creazione del ruolo ispettori, inserito fra quello dei sovrintendenti (in precedenza sottufficiali) e quello dei direttivi (in precedenza ufficiali); di fatto gli ispettori divennero l’anello di congiunzione tra il dirigente e i collaboratori più operativi.

La riforma previde una maggiore specializzazione degli operatori di polizia attraverso selezioni più rigorose e corsi di formazione più specialistici per le mansioni che si sarebbero dovute poi svolgere: non più una qualificazione professionale unica, ma differenziata per le diverse attività operative. Questo ha significato anche riconoscere al poliziotto dignità professionale pari a quella degli altri lavoratori sia pubblici che privati.

La riforma prevedeva inoltre l’organizzazione del personale in 3 differenti ruoli organizzativi: ruolo di polizia, ruolo tecnicoscientifico e ruolo sanitario. Il divieto di far parte e di iscriversi a organizzazioni politiche o sindacali fu in parte mitigato dalla possibilità di costituire sindacati interni.

Fonte: www.poliziadistato.it

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