Una recensione di Andrea Macciò
Il libro che vi presentiamo questo mese, “1520 Una Cupa Storia di Streghe”, è la storia romanzata di un rogo avvenuto realmente in località “Bric delle Streghe” nel tortonese, precisamente nel comune di Carezzano. Vittime del rogo cinque donne della Val Magra (Parmina, Maria, Bianca, Battistina e Teodora), quella che unisce Sardigliano a Sant’Agata Fossili tramite le frazioni di Cuquello, Malvino, Bavantore e Bavantorino. Una delle voci narranti è Parmina Gatti, la “magistra” di Cuquello e “1520 Una Cupa Storia di Streghe” è un romanzo polifonico che ci racconta questa “cupa” storia da tre diversi punti di vista. Quello della “strega” Parmina, quello dei carnefici, l’amministratore della giustizia nel Vescovato di Carezzano e il fuochista, e quello di un osservatore esterno, il bambino Tumàs. Parmina narra dalla sua cella nelle segrete del Vescovato, ormai rassegnata alla sua sorte. Era la “magistra”, colei che insegnava alle altre donne della Val Magra l’arte del curarsi con le erbe e della medicina naturale.
Interessante in “1520 Una cupa storia di streghe” il punto di vista dei due carnefici. In Ego Sum l’autrice ci presenta con grande efficacia i tormenti interiori segreti dell’amministratore della giustizia, responsabile del cosiddetto “braccio secolare”. Convinto di essere nel giusto, è tuttavia tormentato e visitato nottetempo dai fantasmi delle donne condannate per stregoneria. Il fuochista è invece il classico esecutore. Non si pone domande etiche, si limita a fare il suo lavoro e a eseguire ordini.
Il lungo capitolo dedicato a Tumàs è particolarmente interessante per i numerosi riferimenti al dialetto e alle antiche tradizioni della zona. Il punto di vista di un osservatore esterno è quello dello spettatore.
Le condanne a morte, in quel tempo, erano dei grandi spettacoli pubblici, nel quale si mostrava al popolo “lo splendore dei supplizi” come lo definisce Foucault in “Sorvegliare e Punire” con intento anche pedagogico.
A differenza di “Danzando con il demonio. La storia di Agnesa la strega di Stazzano” più romanzato, “1520 Una cupa storia di streghe” ricostruisce in forma di fiction un fatto tragico realmente accaduto.Le streghe, come raccontano quasi tutti gli storici del periodo come Jean Delumeau e Giorgio Galli, erano donne che praticavano una sessualità libera, esperte di medicina alternativa e maestre nel curare con le erbe, che praticavano la solidarietà femminile e una religiosità spirituale e sincretica legata al mondo contadino e ai ritmi naturali, nella quale elementi cristiani si mescolavano col il culto pagano della Grande Madre Terra.
La stregoneria è stata quindi una sorta di cultura alternativa a prevalenza femminile, contro la quale si è accanita un’alleanza di fatto tra la Chiesa, il Potere Civile (le sentenze erano eseguite dal “braccio secolare”) e la nascente scienza positiva di matrice cartesiana. Dalla guerra alla stregoneria, in un certo senso, è nata la società di oggi.
Nel tortonese la stregoneria fu perseguita tramite roghi tra il 1439 e la metà del Seicento: un fenomeno essenzialmente rinascimentale.
È consigliabile leggere entrambi i lavori di Maria Angela Damilano dedicati alla stregoneria per avere un quadro completo del fenomeno nel Basso Piemonte e per programmare una visita di persona nei tanti luoghi del mistero della regione più esoterica d’Italia.
Percorrendo le strade della Val Magra, una delle valli meno conosciute e intatte della provincia di Alessandria, sembra ancora di percepire nell’aria gli spiriti di Parmina e delle sue compagne sacrificate in nome di una discutibile morale pubblica.
In queste valli, in questi paesi affascinanti, appartati e solitari le antiche tradizioni, gli antichi saperi della cultura contadina caratterizzano ancora la realtà di tutti i giorni.
Andrea Macciò