Una riflessione ad alta voce sui tempi che stiamo correndo
Terminato il fervore dell’ultimo dell’anno e nell’attesa dell’Epifania “che tutte le feste si porta via”, scarpinando sui sentieri bianchi di neve di Cheverel, che si possono percorrere anche senza “ciaspole” o sci da fondo, ma con dei buoni scarponi, guardando gli orizzonti infiniti dai quali spuntano i profili increspati delle Alpi, mi sto chiedendo cosa mi aspetto dal 2022 e, nonostante la bellezza di un paesaggio visto dai 2 mila metri d’altezza di questi luoghi incantati della Val d’Aosta, questo pensiero non mi abbandona. Anzi, di fronte a questa maestosità della natura, aumenta.
E allora mi viene da pensare al nostro modo di vivere, a come siamo, a come siamo diventati con la modernità che ci ha portato “ad essere quello che siamo”.
Una società molto conflittuale, frantumata e individualista, all’interno della quale si sono formate delle nicchie di potere, micro società all’interno della società più vasta, che, pur di non perdere le posizioni acquisite, sono pronte ad ogni “patto col diavolo”.
Una risposta a questo stato di cose potrebbe venire, non già dalla politica che è l’esatto specchio della società che la sostiene, ma dalle famiglie, che dovrebbero diventare le fucine di un nuovo modo di stare assieme.
Forse un tempo, quando le famiglie erano “patriarcali” e all’interno delle stesse si svolgeva tutto ciò che oggi chiamiamo welfare state (“dalla culla alla tomba”) – ovvero i valori della condivisione del lavoro, del rispetto reciproco, dell’assistenza solidale e del senso della comunità dove i capi famiglia facevano sentire la loro voce – dalle famiglie si poteva trarre il meglio per una società allargata, ma anche il peggio, come ci dimostrano gli studi sul “familismo amorale”.
Sta di fatto, comunque, che un tempo la società allargata, lo Stato, se vogliamo usare un termine politico, era lo specchio fedele, più che dell’individuo, delle famiglie e, quanto queste erano più aperte e progredite, tanto più lo Stato era aperto e progredito, sino a far combaciare la sua figura con la sua più alta immagine di Patria, che è la materializzazione del comune sentire, dell’unica storia, delle uniche radici.
Ma oggi le famiglie “patriarcali”, con il progressivo passaggio dalla cultura contadina alla cultura industriale e commerciale, non esistono più.
Le famiglie si sono “atomizzate” e ancor più lo stanno diventando con l’arrivo delle nuove tecnologie che, più che unire gli individui sul piano sociale, le isolano nei bunker dei loro social.
Nelle famiglie dell’età contemporanea, l’età che si appresta a colonizzare lo spazio, gli spazi degli affetti sono sempre più ristretti e a dominare sono i rapporti economici e gli interessi spiccioli.
E all’interno di questo quadro, dove molte ormai sono le famiglie mononucleari, gli anziani, ad esempio, diventano un surplus, un fastidio, un peso e allora ecco che le Case di Riposo si riempiono di vecchi che all’improvviso si ritrovano spaesati e privati delle loro cose, dei loro punti di riferimento e per loro la morte diventa una liberazione.
Ma anche i figli si rivelano una sorta di “assegno in bianco” che si stacca con la loro nascita e non si sa quando si potrà metterlo all’incasso perché i figli, se si esclude quelli delle famiglie altolocate ai quali la strada è già spianata sin dai primi vagiti, in una società così frantumata come la nostra, stentano a trovare, o proprio non vogliono trovarla, la loro strada e così i genitori o i nonni, da figure amorevoli, diventano una sorta di bancomat.
Immerso in questi pensieri, scarpinando in questo paesaggio innevato, lontano da tutti e avvolto da un profondo silenzio, mi viene così ancora da domandarmi cosa mi aspetto da questo 2022 appena iniziato e cosa vorrò fare nel prossimo anno.
E allora la risposta mi viene quasi spontanea: quello che mi aspetto dal 2022 è la riscoperta dei sentimenti di affetto e fratellanza, e continuerò a pubblicare il mio giornale per sostenere, assieme ai miei collaboratori, questa necessità.
Perché noi siamo piccoli esseri, mentre la vita è una cosa grande, come grandi sono queste montagne, e andrebbe vissuta meglio senza ingordigie o piccole furberie, perché alla fin fine di noi resterà solo il ricordo di quello che abbiamo fatto, come appunto queste Alpi che si elevano eterne, restano a testimoniare la storia e il trascorrere del tempo.
Gian Battista Cassulo