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L’ALTRO 18 APRILE, QUELLO DEL 1993

UNA PREMESSA

In quella stagione convulsa che si stava sviluppando all’ombra della caduta, prima del Muro di Berlino (1989) e poi, nel 1991, del crollo, anzi dell’implosione dell’Unione Sovietica (chi l’avrebbe mai creduto?), io mi sentivo ancor più piccolo di fronte a quegli avvenimenti epocali e, anche se come formazione politica mi riconoscevo in quel socialismo liberale ipotizzato dai Fratelli Rosselli, mi sentivo scorrere sulla pelle i brividi di un cambiamento.

Non sapevo dire se quel cambiamento lo consideravo positivo o negativo, ma capivo che il mondo non sarebbe più stato lo stesso e mi aspettavo un qualcosa che, comunque, già da tempo era nell’aria. Un po’ come quando si si inizia un’escursione in montagna e guardando il cielo si vedono certi nuvoloni che non promettono nulla di buono.

E qui, nel nostro Paese, il temporale non si fece aspettare! A cercare per primo riparo dagli acquazzoni fu il P.C.I. di Achille Occhetto che, dopo la “svolta della Bolognina”, chiuse baracca e burattini per cambiare nome e diventare, facendo i salti mortali,  P.D.S..

Grave errore quello di Occhetto che avrebbe potuto cogliere quella storica occasione per mettere finalmente una pietra sopra alla scissione di Livorno del ’21 e dare finalmente vita qui da noi ad un vero partito socialdemocratico comprensivo di tutte le sfaccettature della sinistra italiana.

Ma così non fu perché a quei tempi vi era il P.S.I. di Bettino Craxi, il cui decisionismo era inviso a non pochi e proprio su Craxi e sul suo piglio da “un uomo solo al comando” nel ’92 si abbatté la scure del Pool Mani Pulite di Milano, che scavò la fossa a tutti i partiti storici della cosiddetta Prima Repubblica.

Io vissi quella pagina, che all’epoca definii epica perché conoscevo molto bene le dinamiche clientelari dei partiti dove a fronte degli incentivi collettivi (a favore delle politiche pubbliche) a dominare era la distribuzione degli incentivi selettivi (a favore di pochi “fortunati”), avendo militato sino al 1983 nel P.S.I. e dal 1983 al 1991 nel P.R.I., per poi uscire dalla logica partiti e costituire, nel Consiglio comunale di Novi Ligure (Al) un mio gruppo autonomo dal titolo “Il Club della Torre – capitale e lavoro nelle stesse mani”.

Vedevo comunque in quell’azione della magistratura una sorta di “pulizia igienica della politica” (vedere tabella sui mutamenti sociali sopra riportata) scrissi anche un libro su quegli eventi (vedi copertina), ma mi stavo sbagliando e se tornassi indietro quel libro non lo scriverei più, perché non bisognava eliminare, demonizzandoli, i partiti ma ristrutturarli, disciplinarli per legge, come poi si tentò di fare, in modo maldestro, con i vari provvedimenti sul “finanziamento pubblico dei partiti”, perché senza strutture partitiche organizzate e disciplinate che sappiano fare da trait d’union tra i grandi numeri, il corpo elettorale, e le Istituzioni, un sistema democratico non può funzionare, come oggi non sta funzionando e come ci ricorda Franco Astengo nel suo pezzo che qui di seguito vi presento.

Gian Battista Cassulo

Da Franco Astengo, politologo ed esperto di flussi elettorali, riceviamo e con grande disponibilità pubblichiamo questa riflessione su una data che ha cambiato (in peggio?) il nostro sistema politico

La bocciatura in due occasioni consecutive (2014 e 2017) da parte della Corte Costituzionale della formula elettorale scelta dal Parlamento Italiano per essere adottata in occasione delle elezioni politiche generali, l’adozione di una formula mista maggioritaria e proporzionale a separazione completa, altre modifiche del sistema come quelle riguardanti il voto all’estero hanno contribuito nel corso di questi ultimi anni a portare il sistema politico italiano in un quadro di crisi verticale.

Una crisi sistemica derivante essenzialmente dall’esasperazione del personalismo, dalla caduta di ruolo dei partiti, dallo spostarsi dei termini concreti dell’agire politico verso la governabilità in luogo della rappresentanza con conseguente riduzione di funzioni, ruolo, status dei consessi elettivi, in primis di quelli legislativi centrali. Un fenomeno questo riguardante il Parlamento nei suoi due rami che ha raggiunto l’apice della distruzione di senso con la riduzione del numero dei deputati e dei senatori da eleggere portando al lumicino la possibilità di rappresentanza territoriale e politica.

Per questa vera e propria “difficoltà sistemica“, collocata al centro di fenomeni epocali di trasformazione economica, sociale, tecnologica, si può individuare una data d’inizio indicandola nel 18 aprile 1993, ventinove anni anni fa

Nella storia d’Italia la data del 18 aprile ha rappresentato per ben due volte l’occasione per segnare una svolta epocale: nella prima occasione, quella del 1948 quando si svolsero le elezioni per la Prima Legislatura Repubblicana con il successo della Democrazia Cristiana e la sconfitta del Fronte Popolare.

In un’occasione successiva, quella del 1993, le urne furono aperte per un referendum che (tra altri convocati in quell’occasione) interessava la legge elettorale del Senato.

La riforma elettorale era considerata allora, semplicisticamente, la chiave di volta per modificare l’intero assetto del sistema politico. C’era chi, come il movimento capeggiato da Mario Segni oppure parte del PDS proclamava che l’adozione di un sistema elettorale maggioritario avrebbe semplificato il sistema, resa stabile la governabilità, fatta giustizia della corruzione, reso trasparente il rapporto tra eletti ed elettori.

Mai promesse da marinaio come quelle enunciate all’epoca hanno causato una vera e propria distorsione nella capacità pubblica di disporre di una corretta visione politica.

L’esito referendario del 18 aprile 1993 significò un punto di vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese, considerato che dalle elezioni del 1994 in avanti il corpo elettorale non ha mai avuto la possibilità concreta di scegliere i propri rappresentanti.

Si è passati da un sistema misto di collegi uninominali e liste proporzionali bloccate a un sistema proporzionale interamente formato da liste e, dopo aver tentato addirittura di proporre un sistema che avrebbe fornito la maggioranza assoluta con liste bloccate senza alcuna soglia da raggiungere sul modello della legge fascista Acerbo del 1924, ad un altro sistema misto con collegi uninominali e liste ancora bloccate.

L’esito referendario del 18 aprile 1993 significò un punto di vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese, considerato che dalle elezioni del 1994 in avanti il corpo elettorale non ha mai avuto la possibilità concreta di scegliere i propri rappresentanti arrendendosi all’idea del prevalere di una logica di “voto di scambio” di massa elargito sulla spinta di una crescente sfiducia nelle istituzioni repubblicane

Franco Astengo

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