“LA REGOLA DEL FUOCO” DI GIAN MARCO BIANCHI

Non un’avventura ma una fuga dalla realtà nel tentativo di superare i propri limiti interiori

Ci è giunto in redazione un libro dal titolo “La regola del fuoco” edito da Kelkoo, che porta la firma di Gian Marco Bianchi e che per la sua originalità e per la sua scrittura fluente abbiamo il piacere di segnalarvi come un momento di buona lettura. Ma ecco la trama di questo racconto

LA TRAMA

Marco, un uomo alla soglia dei cinquant’anni, all’inizio del nuovo millennio, decide di intraprendere un viaggio in bicicletta percorrendo l’antica Via della Seta. Accompagnato dall’amico Franz, ex militare e navigato viaggiatore, parte dall’Italia per raggiungere la Cina attraversando Europa orientale, Medio Oriente e Asia occidentale. Il viaggio sin da subito si manifesta per la sua difficoltà: le intemperie e le dinamiche socio-culturali dei paesi attraversati, gli strascichi delle relazioni che il protagonista si lascia alle spalle e la natura impervia delle piste battute dai viaggiatori danno avvio a una tribolata esperienza di formazione. Il viaggio assume dunque una carica simbolica e metaforica. L’avventura non è solo una mera soddisfazione di una necessità egoistica di viaggiare, ma si struttura come una precisa volontà di superare i propri limiti interiori, le proprie categorie mentali nella percezione di sé stessi e del rapporto che si ha con il prossimo e con l’ambiente circostanti.

A TITOLO DI PRESENTAZIONE PUBBLICHIAMO UN INCIPIT DEL LAVORO DI GIAN MARCO BIANCHI

“Il profumo della libertà Un’altra notte insonne. In quei pochi istanti in cui lo sfinimento, vincendo su una mente furibonda e atterrita, mi faceva letteralmente crollare e sprofondare nel sonno, i latrati dei cani e il dolore provocato dai lacci di cuoio che tenevano legate mani e piedi, mi riportavano di scatto alla veglia facendomi ricadere nel baratro del terrore. L’ansia, come un tarlo nell’animo, prendendo immediatamente il controllo, azzerava ogni mia capacità di discernimento, lasciando il mio corpo incapace di alcuna reazione. Dopo l’ennesimo risveglio, la schiena dolorante e le membra indolenzite non aiutarono la tenue fiducia di potermi riaddormentare e cancellare, anche per pochi minuti, quella pena insopportabile. Con uno sforzo, come se fossi trattenuto da un peso che gravava sul petto, mi alzai, sollevai il capo e mi guardai intorno sgomento. Il mio sguardo si perse in un impenetrabile buio, dove anche il pensiero si sentì prigioniero: fui nuovamente sopraffatto dalla disperazione. Ricaddi in ginocchio annientato dall’angoscia e dello sconforto. La tenda che ci ospitava era spoglia e disadorna, a terra, a dividerci dalla polvere e farci da giacigli, alcuni logori tappeti che erano normalmente usati a modo di sottosella al basto dei cammelli e qualche stuoia; il tutto emanava un afrore, un miscuglio di muffa e letame, insopportabile più della scomodità del pagliericcio. Cercando di calmare mente e corpo, mi rannicchiai con la speranza di riappisolarmi, ma l’alba era ormai vicina e il Muezzin iniziò, con il suo canto suggestivo, la chiamata alla preghiera. Franz, che dormiva stranamente raggomitolato in alcune sudice coperte, si svegliò; ci spostammo, aiutandoci con i gomiti, di fronte all’apertura della tenda sistemandoci proni a terra. L’uomo di guardia, sentendoci desti, sollevò la nera e pesante stuoia. L’aria fredda, pungente, in un attimo invase il nostro rifugio spazzando via la mia lieve illusione che si trattasse soltanto di un brutto incubo. Il sole, che ancora non era riuscito a oltrepassare la cerchia delle montagne, con un livido chiarore illuminava appena le figure degli uomini inginocchiati in preghiera. Poco dopo le donne, il volto celato da una specie di rete, impenetrabili alla vista tanto erano recluse nei loro neri vestiti che le ricoprivano dalla testa ai piedi, iniziarono a ravvivare i falò che si erano assopiti sotto la cenere. Nell’aria si confuse il profumo del tè all’acre odore del fuoco appena rinato. Anche i bambini erano in movimento e armati di bastoni aiutavano le loro madri, spingendo e separando gli animali al fine di facilitarne la mungitura. I dromedari facevano gruppo a parte poco lontano da un buon numero di bovini, capre e asini impazienti di muoversi verso il pozzo per potersi abbeverare. Avrei pagato qualsiasi cifra per avere anch’io un secchio d’acqua pulita; erano passati vari giorni senza la possibilità di lavarci e sbarbarci: mi sentivo irriconoscibile tanto ero arruffato e sudicio. Un giovane dagli occhi grigio-azzurri, capelli neri e ispidi, il mento sollevato con aria di sfida, vedendoci fare capolino dalla tenda, ci portò una ciotola di latte appena munto e un tozzo di pane raffermo. Guardandoci con superbia, si divertì a pungolarci un poco con il suo inseparabile bastone prima di posare a terra quello che doveva essere, sino a sera, la nostra unica fonte di sostentamento oltre a un piccolo otre d’acqua. Il gusto appena amarognolo del pane e il latte leggermente salato riuscirono a tacitare i lamenti dello stomaco che apparentemente unico organo del mio corpo, forse governato dal primordiale istinto di sopravvivenza, sembrava ignaro della situazione. Per tutto il giorno non potemmo muoverci dalla tenda. Nella vana attesa che potesse accadere qualcosa di nuovo, ricominciammo a valutare la nostra situazione arrovellandoci le meningi per trovare il modo di uscire indenni da quel contesto. Lo smarrimento e la collera dei primi momenti di prigionia, che Franz aveva gestito con carattere, in lui si erano spenti piano piano trasformandosi in una sorta di apatia, che non era rassegnazione ma solo una lucida follia accompagnata da impotenza che però gli diede modo di ragionare con più razionalità. Io invece non riuscii a riprendere il controllo e non lasciai passare un solo istante senza continuare a ripetere che era impossibile fuggire, recuperare le nostre cose e trovare la strada senza i fidati gps che ormai avevano le batterie scariche. Franz non riuscì a calmarmi e il tempo in quella tenda si trasformò in uno stillicidio d’interminabili momenti che si ripetevano vuoti di speranza e pieni di angoscia. Il mio compagno, cercando di distrarmi disse che presto saremmo nuovamente ripartiti com’era già successo e che qualcosa di positivo durante il tragitto poteva accadere.

La regola del fuoco di Gian Marco Bianchi – ISBN: 978885539185 – Pagine Arabe: 370

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