“Come potrei raccontarvi il mondo in cui vivo? Semplice, tradizionale. O forse per usare un’espressione più critica, gretto? No, non sarebbe giusto. Dopo tutto, ritengo di avere avuto, e goderne, una ragionevole fortuna. Non mi manca la salute, ho un lavoro, una casa, un amore, il mio regno. Si deve andare avanti, per forza. Lo standard è solo un’impressione, dipinto-chissà come mai-, in negativo”….
Così inizia il romanzo breve “Il Diavolo povero” di Roberto Portinari, titolo che inverte volutamente l’espressione idiomatica italiana “povero diavolo” che identifica una persona in cattive condizioni economiche o perseguitata dalla sfortuna.
La trama del romanzo
È la storia dell’impiegato cinquantenne Luca Ferri, un personaggio del quale l’autore segue la “discesa all’inferno” dalla quotidianità sbiadita e “gretta” come afferma lo stesso personaggio nell’incipit, della sua vita piccolo-borghese apparentemente perfetta, a una progressiva perdita dei punti di riferimento di questa stessa vita, che lo portano nella prima fase a una sorta di vagabondaggio in una città non identificata, cupa e notturna come quelle dei dipinti di Edward Hopper. La goccia iniziale è la decisione improvvisa della moglie Lisa: un giorno, appena tornata dalla palestra, gli comunica la sua decisione di lasciarlo “mi sono stufata, non voglio più vivere con te” senza un’apparente motivazione scatenante. Poco dopo Lisa consegna anche le sue dimissioni per “uscire dalla sua zona di comfort”. In alcuni giorni, tra il malessere che coglie sua madre, forse dovuto al dispiacere per la rottura con Lisa, e le fantasticherie sulla ragazza che gli serve la colazione all’albergo, anche in Luca Ferri cresce l’insofferenza per il suo lavoro in quel “loculo” che è la sua scrivania nell’open space e per quella che credeva essere una “zona di comfort”. La rottura dello “standard” scatenata dal gesto di Lisa è per Luca Ferri davvero la discesa all’inferno di un “povero diavolo” o è piuttosto un’opportunità da cogliere?
Subito dopo l’incipit del romanzo, l’autore inserisce un inciso, scritto in corsivo, apparentemente incongruo con questa storia apparentemente quotidiana e banale di un uomo qualunque, ma che forse potrebbe essere la chiave per comprendere l’intera vicenda. Ma siamo sicuri che Ferri sia davvero solo quel piccolo-borghese insoddisfatto che sembra?
Un noir metropolitano, senza delitti, ma con un mistero incombente che via via si infittisce.
Una considerazione
Ne “Il diavolo povero” l’autore ci porta a identificarci progressivamente nella discesa a un metaforico inferno del suo personaggio Luca Ferri, come Clémentine Haenel in Vuoto d’aria è riuscita a farlo con quella dell’anonima ragazza protagonista del suo romanzo. I personaggi sono in qualche modo opposti come indole, e quello che forse Portinari ci vuole raccontare è l’inferno che si nasconde nei dettagli di una quotidianità e di una vita scandita da abitudini e rituali, simile è invece il racconto della solitudine metropolitana dei protagonisti. Tra le suggestioni del romanzo di Portinari, cogliamo anche quella della Commedia di Dante: dal suo viaggio in un inferno contemporaneo, Luca Ferri riemergerà per “riveder le stelle” oppure no?
Una scrittura essenziale, una narrazione costruita tutta in funzione di un finale che ci permette di ricostruire la logica e il senso di molte delle vicissitudini del protagonista, uno stile caratterizzato da un sarcasmo e da un’ironia amara di fondo: Il diavolo povero, già dal titolo, dimostra di essere un’opera con più livelli di lettura possibili.
Interessante la cover, una fotografia scattata dall’autore stesso sul molo di Rapallo, da dove sembra quasi scaturire la “fantasticheria” dalla quale è nato questo breve e inteso romanzo.
Andrea Macciò