Il Metodo Munariano conquista Acqui Terme

Si è concluso con grande successo il ciclo di appuntamenti dedicato alle scuole, strutturato su laboratori didattici con il Metodo Munariano, condotti da Silvana Sperati. Gli allievi dell’Istituto Superiore Montalcini, Istituto Superiore Parodi, Istituto Comprensivo 1 e Istituto Comprensivo 2 di Acqui Terme hanno partecipato a questa iniziativa parallela allo svolgimento della Mostra Antologica “Bruno Munari. La leggerezza dell’arte” allestita a Palazzo Robellini di Acqui Terme (AL), aperta fino al prossimo 28 luglio, organizzata dal Comune di Acqui Terme, in collaborazione con ComitArt e Repetto Gallery. Silvana Sperati, presidente dell’Associazione Bruno Munari, è stata allieva del Maestro e porta avanti il lavoro di divulgazione che Munari ideò secondo un particolare approccio metodologico, discusso anche nel corso di una Conversazione sul Metodo, per un pubblico adulto, come spiega nel corso di un’intervista.

Sperati, è soddisfatta dello svolgimento dei laboratori acquesi?

I laboratori sono uno spazio importante di esperienza, molto generativo. Gli appuntamenti acquesi sono stati un momento che ha svelato l’essenza del lavoro di Bruno Munari, cioè il valore della sperimentazione. Docenti e ragazzi di età differente hanno avuto la possibilità di fare un’esperienza piccola ma intensa, che è rimbalzata in città: è corsa la voce ad Acqui Terme, abbiamo visto un interesse particolare per l’approccio alla sperimentazione e alla ricerca. I laboratori sono terminati ma non è finito il flusso generativo che abbiamo mosso.

Come ha sviluppato le proposte didattiche?

Ho cercato di presentare le attività principali fondanti dell’artista: la ricerca sui segni, uno dei laboratori che Munari portò a Brera, che distingue i diversi tratti e segni; i materiali e la carta, non solo supporti al disegno ma materiali che possiedono poetica e linguaggio proprio; la terza dimensione che ricorda le Sculture da viaggio, presenti anche in mostra. Con i bambini più piccoli ho provato a educare la fantasia, con fogli che possono cambiare forma e dimensione, e le relazioni attraverso la texture e il colore. Infine, ho proposto citazioni di esperienze legate alla natura.

Perché il Metodo Munari è tanto acclamato ed efficace?

È unico nel suo genere: Munari creò un metodo per educare i bambini ad avere un approccio diverso all’arte, lontano da ciò che è la copiatura dell’opera, che genera frustrazione nei bambini, ma stimolandoli a trovare le tecniche e sperimentarle. Si pone quindi attenzione al segno e agli strumenti: i pennelli, l’acrilico piuttosto che la matita o l’inchiostro di china o il carboncino… ciascuno strumento ha un linguaggio e a seconda di come lo si utilizza comunica qualcosa. Il bambino che senza pressione sperimenta questo, acquisisce informazioni che torneranno utili nel momento in cui in futuro visiterà una mostra, ad esempio.

Come si inseriscono gli adulti nei percorsi di formazione munariana?

Del metodo si sono stupiti anche gli insegnanti, circa una sessantina di persone in sala, che hanno partecipato alla nostra Conversazione: abbiamo ricevuto molte lettere di ringraziamento e apprezzamento. C’è stata curiosità e abbiamo condiviso riflessioni. Ricordo che Munari voleva che i laboratori affiancassero le sue mostre. Anche i laboratori sono opere: quale, se non il laboratorio, è il luogo in cui meglio promuovere l’anima dell’approccio?

Lei che è stata allieva del Maestro, che ricordo ha di lui?

Era una persona estremamente gentile e accogliente. Mi ha dato molta fiducia nonostante la mia giovane età di allora, forse ha visto qualcosa in me di cui nemmeno io mi ero resa conto. Bruno Munari non metteva mai a disagio, non ‘insegnava’ ma creava i prerequisiti perché si sviluppasse una propria consapevolezza. Faceva molti esempi, si ragionava insieme. Trovo che mettersi in questa disponibilità con una giovane allieva sia straordinario. È una persona che manca, pieno di umanità. Munari voleva l’evoluzione della società; era contento se le mostre andavano bene e le opere piacessero, ma non si accontentava: lui voleva stupire, come dimostra l’opera “Sedia per visite brevissime” che è in esposizione a Palazzo Robellini. A me sembrava una sedia sbagliata ed ero in imbarazzo nel commentarla, ma lui era entusiasta, molto ironico, e aveva un particolare modo di vedere le cose. E io sono molto contenta di raccogliere l’eredità di questo messaggio e offrirlo agli altri.

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