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UN TEATRO ED IL SUO FANTASMA

La storia di Leila Carbone e del teatro Carlo Felice

Il 18 ottobre 1991, le note de Il Trovatore di Verdi risonarono durante l’inaugurazione e durante la canzone di Manrico i più attenti udirono che qualcuno prolungò intenzionalmente gli accordi del liuto e c’è chi afferma di aver scorto nel foyer una pallida fanciulla scalza con una veste di velluto scuro. A un ignaro spettatore che le aveva rivolto la parola, la ragazza rispose: “Questa è da sempre e sarà per sempre la mia dimora“, per poi fuggire via e svanire tra la folla.

C’era una volta…

La nostra è una storia vera, ma ha molte caratteristiche della fiaba: un amore tormentato, una matrigna cattiva, un elemento fantastico e soprannaturale. Perciò, possiamo benissimo iniziare con la formula più classica di tutte.

C’era una volta, quindi, nella Genova del 1500 una giovane di nome Leila Carbone. La ragazza viveva con il padre liutaio in Via del Filo ed aveva due passioni: la musica e l’amore (ricambiato) di Camillo Negrone: non il principe azzurro, ma membro di una delle famiglie nobili della città. Il giovane aveva però una madre, con tutte le caratteristiche della matrigna cattiva delle storie.

Non solo voleva impedire l’amore del figlio, promesso da tempo ad una giovane della ricca casata dei Durreto, ma era priva di scrupoli nell’agire. Così, la dama Negrone si assicurò la collaborazione della Garbarino, delinquente abituale. Questa si presentò davanti al Tribunale dell’Inquisizione locale, sostenendo   che la Carbone fosse una strega, autrice di filtri, sortilegi e furti blasfemi di ostie nella Chiesa di Santa Maria delle Vigne.

Siamo nel periodo della Controriforma, e la Chiesa di Roma si sente assediata: il nemico è ovunque, popolo o nobili, eretici o streghe che siano. Basta allora la testimonianza traballante di una donna senza legge perché Leila sia strappata alla casa ed agli affetti e trascinata nel Convento di San Domenico, allora sede cittadina della Santa Inquisizione. Nelle sue aule, la sedicenne figlia del liutaio deve subire la pesante accusa di stregoneria. Per piegarla, i religiosi la fanno rinchiudere nell’examinatorio: una stanza nei sotterranei del monastero, dove gli accusatori potevano esercitare pressioni psicologiche e fisiche sull’imputato. Proprio questi abusi provocano la morte della giovane, che viene così seppellita nelle cripte del monastero.

Se fosse una storia normale potrebbe finire qui: l’ennesimo caso di mala giustizia, con i deboli senza difesa contro potenti ed autorità corrotte.

Ma la nostra storia è una quasi favola, è la magia (meglio, il soprannaturale) arriva a portare una sorta di lieto fine.

Il tempo passa. La Repubblica di Genova viene conquistata dai francesi, i cui cannoni distruggono il complesso di San Domenico. Successivamente, il Congresso di Vienna (1814 – 1815) la assegna al Regno di Sardegna. Il re Carlo Felice, decide di nobilitare il nuovo possedimento costruendo sulle rovine di chiesa e convento un teatro, che prenderà il suo nome. Il teatro Il Carlo Felice venne inaugurato il 7 aprile 1828: il pubblico parla dell’opera scelta, “Bianca e Ferdinando”, di Vincenzo Bellini e di una strana presenza. Sia gli spettatori che i lavoratori descrivono una figura spettrale, apparsa nel foyer. Capelli lunghi e sciolti, un abito di velluto nero, un profumo di rose: basta poco per creare la leggenda di Leila Carbone, sfortunata amante della musica che ha scelto il teatro come sua sede eterna. Altri avvistamenti, dove la figura tiene in mano un liuto, rafforzano il concetto della giovane come abitante-protettrice del teatro.

Durante la II Guerra Mondiale, i testimoni narrano infatti della giovane abbracciata alla statua di marmo del Genio dell’Armonia posta nel pronao: la statua rimane intatta, il resto dell’edificio devastato dai bombardamenti.

Negli Anni Ottanta inizia la ricostruzione del teatro: Leila viene avvistata molte volte e considerata responsabile del buon andamento dei lavori, che terminano in fretta e senza incidenti.

Ogni fiaba ha un finale, ed il nostro potrebbe essere fissato il 18 ottobre 1991. Durante la seconda inaugurazione del teatro, Il “Trovatore” di Verdi viene arricchito dagli accordi di un liuto, opera di un suonatore non identificato. Mentre la musica è in corso, Leila viene di nuovo avvistata nel foyer. Le sue parole sono una sentenza: “Questa è da sempre e sarà per sempre la mia dimora”.

Non vissero per sempre felici e contenti, ma sembra comunque che Leila abbia trovato un luogo dove stare, e trovarsi bene.

Matteo Clerici

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