VIOLENZA SESSUALE MEDIANTE ABUSO DI AUTORITA’

Quando si parla di violenza sessuale di solito si pensa a condotte di costrizione con violenza o minaccia a compiere o subire atti sessuali.

Tuttavia alla medesima pena, ossia reclusione da 6 a 12 anni, soggiace anche colui che, anziché servirsi di un comportamento violento o minatorio, si avvale invece di un abuso della propria autorità.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2020 hanno chiarito che affinché risulti integrata tale fattispecie occorre che sussista una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere la vittima a compiere o subire atti sessuali.

E’ evidente che la costrizione non può certamente ritenersi presunta sulla base della sola posizione rivestita dal soggetto attivo.

La predetta sentenza ha fornito chiarimenti sul concetto di autorità e sulla condotta considerata penalmente rilevante.

La Cassazione ha precisato che non si considera soltanto la rilevanza pubblicistica o privatistica della posizione rivestita dal soggetto agente.

Infatti ciò che rileva è la coartazione della volontà della vittima, posta in essere in virtù di una posizione di supremazia, qualunque ne sia l’origine.

La specifica qualità di chi agisce resta in secondo piano rispetto alla strumentalizzazione di tale posizione.

La coartazione che consegue all’abuso di autorità trae origine dal particolare contesto relazionale di soggezione tra autore e vittima del reato, che deriva dal ruolo autoritativo del primo.

La Cassazione a Sezioni Unite ha quindi chiarito che “non può validamente sostenersi che il riconoscimento dell’autorità debba avere esclusivamente natura formale e pubblicistica”.

Aggiunge infatti un inciso che offre degli esempi di contesti in cui può verificarsi una coartazione della volontà derivante dal ruolo autoritativo di chi agisce: “Una simile interpretazione risulta, invero, in evidente contrasto con la esigenza di massima tutela della libertà sessuale della persona che la legge persegue, come pacificamente riconosciuto e rende collocabili nella fattispecie astratta di cui all’art. 609-bis c.p., comma 1 anche situazioni che, altrimenti, ne resterebbero escluse, quali quelle derivanti da rapporti di natura privatistica o di mero fatto, come, ad esempio, nel caso dei rapporti di lavoro dipendente (anche irregolare), ovvero di situazioni di supremazia riscontrabili in ambito sportivo, religioso, professionale ed all’interno di determinate comunità, associazioni o gruppi di individui (Cass. Pen. Sez. Unite, Sent. 01/10/2020 n. 27326 (data ud. 16/07/2020).

La Cassazione nella stessa sentenza ha altresì richiamato alcuni casi giurisprudenziali.

Le Sezioni Unite menzionano, ad esempio, un caso di abuso sessuale perpetrato da un datore di lavoro nei confronti di una dipendente e un altro posto in essere da un superiore gerarchico nei confronti di un’altra dipendente.

Un altro caso richiamato è quello in cui era emerso uno stato di soggezione che l’imputato aveva indotto sulla cognata, in un contesto familiare di particolare degrado, caratterizzato dalla supremazia dell’uomo rispetto alla componente femminile.

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