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ROBERTO PESTARINO, IL “FOTOGRAFO DEI MANICHINI”

In autunno abbiamo presentato la mostra fotograficaProgetti Fiamminghidi Roberto Pestarino, frutto di una ricerca artistica molto originale ispirata alla pittura. Per approfondire meglio il suo concetto di fotografia e i suoi progetti artistici lo abbiamo intervistato a Novi Ligure (Al) nella redazione de “l’inchiostro fresco”. Roberto Pestarino è anche il presidente del Circolo Fotografico dell’Oltregiogo, che da 14 anni con corsi, eventi, mostre e una sala pose a disposizione si occupa di promuovere la cultura fotografica nel territorio.

LA FOTOGRAFIA È UN MONDO

ECCO COSA CI HA DETTO ROBERTO PESTARINO DEL SUO LAVORO E DELLA SUA PASSIONE

Quando è nato e quali sono le attività del Circolo Fotografico dell’Oltregiogo?

Il Circolo Fotografico dell’Oltregiogo esiste da 14 anni. È nato a Fresonara, poi ci siamo spostati, trovando locali migliori a Serravalle Scrivia. Conta 20-30 iscritti e si occupa di fotografia d’arte e studio della fotografia. Il concetto-base è che la fotografia se usata per uno scopo comunicativo, va studiata. Abbiamo avuto diversi personaggi illustri nei corsi, abbiamo una camera oscura, un set fotografico di luci, una sala didattica. Abbiamo organizzato attività sia aperte al territorio che interne, e fatto fare i primi passi a fotografi illustri che ora sono in giro per il mondo con le loro opere. La sede oggi è a Serravalle in Via Giano, vicino all’ANPI e a Palazzo Grillo. Stiamo cercando nuovi iscritti, persone che abbiano voglia di fare attività. Diamo a disposizione anche una sala pose con 4-5 luci.

Ci potresti riassumere qual è la tua idea di fotografia?

La fotografia è un mondo. La parte che si legge sul mio sito è l’essenza della lettura fotografica. La foto oltre a essere fatta, vista, pubblicata, può essere letta come un mezzo di comunicazione visiva, come un’opera d’arte. Leggere una fotografia è come un esercizio di linguistica. L’obbiettivo del fotografo è catturare l’attenzione di chi guarda, e oggi è sempre più difficile, visto il numero di immagini dalle quali siamo circondati.

Uno dei progetti più recenti è “Proverbi Fiamminghi” esposto in autunno a Serravalle e dal quale è nato un libro presentato nei giorni scorsi. In che cosa consiste questo progetto e da cosa è nata l’idea?

Proverbi Fiamminghi è stato un lavoro di circa sei anni. Comprende 31 fotografie, una per ogni giorno del mese. I proverbi fotografati sono estrapolati da un dipinto del ‘500 di Brueghel Il Vecchio, ricco di allusioni o citazioni a proverbi o “luoghi comuni” dell’epoca. Dai 126 individuati dagli storici io ne ho estratti 31, da associare a una giornata. Per non scimmiottare la pittura, ho preso la citazione del frammento citato e ne ho ricavato una voltura al positivo, infarcendolo con notizie storiche, curiosità, abiti dell’epoca, e cercando di mettere un po’ di ironia e leggerezza. Ogni fotografia racconta un proverbio in associazione agli scatti, che sono stati fatti nel Circolo Fotografico dell’Oltregiogo.

Ci sono fotografi o artisti del passato o contemporanei ai quali ti ispiri nel tuo lavoro?

I fotografi che mi ispirano sono tantissimi, e nessuno. Io cerco una chiave da portare avanti, credo che sia giusto prendere il meglio di tutti, e scavare la traccia che ogni autore ha preso. Anche i fotografi che non mi piacciono particolarmente mi ispirano, ad esempio Steve Mc Curry, del quale vorrei cercare di riprendere il colore. Tutti, in fotografia e pittura, imitiamo tutti…

Qual è stato il tuo primo grande progetto fotografico?

Quello sulle vetrine dei negozi e i manichini è stato forse il mio primo “”. Camminavo per Asti, e ho visto un cappello un po’ ricurvo, sulla vetrina di un negozio da sposa, che mi ha fatto pensare a uno dei celebri colli lunghi di Modigliani. Arrivando a casa e riguardando la foto, mi sono accorto che in quel cappello c’era una specie di viso ritorto. Mi ero accorto che sfruttando le luci, lo sfondo, due o tre trucchi di tecnica fotografica, come la misura dell’esposizione e la composizione, potevo dare una nuova vita ai manichini dentro i negozi. Più i manichini erano anonimi, più potevo giocare e creare con le luci e lo sfondo. Ho realizzato oltre 70 pose delle vetrine, giocando con le luci. Molte delle foto le ho scattate a Novi, girando alla sera. È un progetto fotografico che ha girato abbastanza per il mondo, e sono stato riconosciuto come “fotografo dei manichini”.

Ci potresti parlare di un altro progetto molto originale, “La Storia Nuda”?

Per La Storia Nuda devo ringraziare le due persone che hanno collaborato, due donne con formazioni fisiche particolari, lo scopo era quello di dimostrare che per dire qualcosa non è necessario essere dentro a canoni di bellezza canonici. Loro ci sono riuscite benissimo. La Storia Nuda è stata ispirata anche dalle forme stilizzate ed essenziali delle vignette di Forattini, che raccontano con uno sguardo sardonico e un po’ di cattiveria la società. Io ho cercato di mettere in scena 25 grandi fatti storici con pochissimi oggetti e zero vestiti, dal Titanic alle Guerre Mondiali, dal Covid al Muro di Berlino. Il progetto ha richiesto tre anni di lavoro.

Attualmente stai lavorando su qualche tema particolare?

Sì! Ora mi sto occupando della parodia dei Graffiti di Bansky, sto cercando di trovare un seguito, o meglio un post e un prequel, per le sue opere più note, come ad esempio Il Lanciatore di Fiori.

C’è molto dibattito tra i fotografi sul ruolo della postproduzione e in particolare oggi su come l’Intelligenza Artificiale possa ridefinire i confini della fotografia. Qual è la tua posizione in merito?

Dipende da quanto vuoi ingannare l’interlocutore. Io l’Intelligenza Artificiale non l’ho mai usata, ho una vecchia versione di photoshop. È vero che l’IA ti può creare una fotografia da zero, ma io penso che per avere un concetto fotografico dovresti fare prima di tutto un lavoro su te stesso, vedere cosa puoi buttare fuori. Io non riuscirei a clonare un palo della luce, l’IA sì, ma così sarebbe “barare” perché si arriverebbe a un’opera che di fatto non è più fotografia, e andrebbe dichiarato prima. È uno stile tecnico anche quello, come l’arte digitale.

Oltre a quella di Serravalle, hai esposto in altre mostre di recente?

L’ultima è stata a Palazzo Barbella a Chieti, curata da Massimo Pasqualone. La prima offerta era per una mostra personale, è stata invece una mostra collettiva con i fotografi della zona, in una prestigiosa sede istituzionale.

                                               Andrea Macciò

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