Un antico popolo formato da paurosi esseri metà uomini, metà cinghiali


Un’antica leggenda narra che nella Rocca di Lerma, comune del Monferrato ovadese tra Casaleggio Boiro e Tagliolo, vivano gli Ungumani, degli strani esseri metà umani e metà cinghiali, “generati” dai pensieri negativi che dal Medioevo in poi gli abitanti del paese dell’ovadese andavano a “liberare” nei pressi del Castello. Il pane del boia è il pane rovesciato, che si narra fosse dato allo stesso dopo il suo crudele lavoro. Noi su queste pagine lo scorso anno avevamo già dato notizia di questo libro in un articolo a firma di Fausto Cavo, ma ben volentieri pubblichiamo questa recensione più completa che giunge in redazione a firma di Andrea Macciò. Gian Battista Cassulo
GLI UGUMANNI E LE BELVE DI FACINO
A Lerma si ricorda ancora oggi la storia delle truppe di Bonifacio Cane detto Facino, politico e condottiero che nel Quattrocento fu Signore di una vasta area del territorio di quelle che oggi chiamiamo “le quattro provincie” e il cui esercito di mercenari, le “Belve” si rese responsabile di saccheggi, stupri, omicidi e devastazioni proprio nel borgo del Monferrato.
Una leggenda narra che le Belve di Facino al tempo si rifugiarono in un “Infernot” le cantine sotterranee caratteristiche del Monferrato. E se le Belve non se ne fossero mai davvero andate? E se la leggenda degli Ungumani avesse un fondo di verità?
A partire da queste antiche storie, in un continuo intersecarsi di piani temporali, “Il pane del boia e la rocca degli Ungumani” racconta la “discesa all’inferno” di Tino, macellaio del paese che porta malissimo i suoi 50 anni, con una laurea in filosofia nel cassetto, tormentato da una cliente particolarmente esigente, la signora Ciompi.
Il ritorno in paese di Lisa, una ragazza di Lerma che si è trasferita in città per studiare all’università, fa lentamente saltare gli equilibri mentali del protagonista, che si invaghisce di lei in maniera morbosa e ossessiva fino a tentare di farle terra bruciata intorno. Una discesa all’inferno lenta che trascina con sé tutto il paese, e che l’ambiguo prete Don Guido attribuisce all’arrivo del demonio a Lerma. O forse i suoi abitanti hanno dimenticato di nutrire a sufficienza gli Ungumani?
“Il pane del boia e la rocca degli Ungumani” è ambientato in un’area del Piemonte ricca di mistero e antiche leggende, basti pensare alla vicina Rocca Grimalda. Partendo da un fatto storico, le razzie di Facino Cane, il libro di Marco Marengo ci trasporta in un viaggio tra diversi piani temporali, tra realtà e fantasia, con una storia di paese segnata da invidie e incomprensioni che si trasforma lentamente in un horror dall’atmosfera gotica.
Molti sono i livelli di lettura di questa storia, l’ossessione morbosa del protagonista Tino per Lisa, una delle cause scatenanti del male che dilaga in maniera crescente nel paese, oggi può essere avvicinata al tema del “femminicidio” che peraltro aleggia anche sull’Oltregiogo con il delitto di Reneuzzi, raccontato ne “Il vento dell’Antola” di Cristina Raddavero e “Il paese silenzioso” di Cristiano Zanardi (anche se non è questo il tema del romanzo) e di come questa cultura contadina e tradizionale che molti oggi rimpiangono contenesse da questo punto di vista aspetti molto oscuri.
Così come l’ossessione di Tino per la carne può far riflettere sulla linea sottile che divide il mangiare altri animali dal cannibalismo, tema nel quale possiamo leggere una possibile influenza della saga di uno dei più noti serial killer del cinema, Hannibal Lecter.
Tino è un personaggio disturbante, un antieroe chiamato suo malgrado a cercare di arginare l’avanzata dei mostri: un Lecter del Monferrato, in un certo senso, anche se non sappiamo se questa fosse l’intenzione dell’autore.
Un romanzo che dimostra anche come l’immaginario della letteratura e del cinema horror contemporaneo sia largamente influenzato dal patrimonio culturale e sociale delle leggende popolari, che contenevano un fondo di saggezza.
Se i pensieri negativi non sono repressi sino ad esplodere, ma sono “affidati” agli Ungumani, forse i mostri si potranno tenere sotto controllo. In caso contrario, rischia, come nel libro di Marco Marengo, di scatenarsi davvero l’inferno.
Andrea Macciò

