Uno dei nemici più pericolosi per l’ambiente è lo spopolamento delle montagne, le quali, lasciate a sé stesse, diventano preda di un dissesto idrogeologico che poi si tramuta in frane, smottamenti, modificazione del paesaggio. Questo libro, oltre al ricordo delle tradizioni storiche della Valle Spinti, è un grido di allarme contro questo pericolo. Andrea Macciò, cogliendo l’occasione della recensione del libro “I mercanti della neve” di Antonio Luigi Pratolongo, è andato a visitare Grondona, piccola capitale della Valle Spinti. La redazione
L’autore, Antonio Luigi Pratolongo
“Ki us vive do gron Re. Gudmese u Paradisu iksen kmé ke l’é peike kuelu ki prumete I previ insun u sa su g’è” (da Nuvembre, poesia in dialetto della Valle Spinti)
“I Mercanti della neve – Storia e tradizioni in Valle Spinti” è un’interessante antologia di Antonio Luigi Pratolongo, ex sindaco di Grondona (Al) dal 1995 al 2004 e presidente della Comunità Montana Val Borbera e Valle Spinti dal 1995 al 2009”
L’autore racconta con accenti autobiografici, attraverso poesie (alcune in dialetto, altre in italiano) e brevi racconti le tradizioni di quella che è forse la meno conosciuta e più incontaminata delle valli dell’Appennino ligure-piemontese: la Valle Spinti. Storie e volti di un passato recente, che però oggi appare lontanissimo nel tempo. Interessante l’uso del dialetto e la precisione con la quale una tradizione anzitutto orale è resa in forma scritta. Il dialetto della Valle Spinti appartiene al ceppo linguistico diffuso tra Oltregiogo genovese, valli appenniniche e novese, diverso sia dal genovese che dal piemontese classico parlato con diverse sfumature a nord di Novi Ligure.
I mercanti della neve insiste su un tema che è stato affrontato anche da altri libri presentati in questa rubrica, come L’equilibrio dei sassi di Gianluigi Mignacco, Il Vento dell’Antola di Cristina Raddavero e La ruota nel deserto di Celeste Caniggia: lo spopolamento della montagna (in particolare quella appenninica) e la fine di un mondo, quello della civiltà contadina fondata su un’economia di sussistenza familiare. A molti anni di distanza, immersi in una società nella quale gli spazi di libertà sono sempre più ristretti e la percezione della realtà è quasi totalmente filtrata dai media, questi libri ci aiutano a chiederci se ne è valsa la pena.
I mercanti della neve sono i tre santi Antonio, Sebastiano e Biagio, dipinti nell’affresco della bellissima Chiesa dell’Annunziata di Grondona, che secondo un’antica tradizione si sarebbero recati al mercato rispettivamente il 17 e 20 gennaio e il 3 febbraio per comprare la neve da buttare i giorni successivi solo in caso di bel tempo…
Antonio Luigi Pratolongo ci accompagna in un vero e proprio viaggio nel tempo, nel passato di Grondona e delle sue frazioni: Torrotta, Chiapparolo, Rio della Casa, Formighezzo, Variana, Sezzella, Sasso, Lemmi e Ca’ di Lemmi.
Rievoca i lavori spariti e figure che sembrano arrivare da un passato lontanissimo, come la figura del “macchinista” addetto alla trebbiatura del grano o il “dentista di Chiavari” che arrivava periodicamente in paese e risolveva i problemi odontoiatrici degli abitanti della valle con mezzi di fortuna, i giocattoli semplici ma arricchiti da tanta fantasia della sua infanzia, sostituiti dai luccicanti giocattoli industriali, i rituali di una società quasi scomparsa: l’attesa delle feste o di occasioni speciali per corteggiare le ragazze o i ragazzi, la caccia, la raccolta delle castagne a Ottobre e Novembre.
Dal passato della valle emergono personaggi marginali e anarcoidi, come i cosiddetti “girovaghi”, come Bruno e Bruna e Gocciu da Vale, persone che vivevano girando i paesi, trainando carretti con il necessario per vivere, facendo lavoretti occasionali come la cartomante o il venditore di camomilla alle feste, chiedendo un piatto di minestra o un tozzo di pane ai padroni di casa, dormendo d’estate nei “seccatoi” per le castagne e d’inverno nelle stalle.
In un racconto di sferzante ironia, si narra di come uno di questi girovaghi durante il fascismo riuscì a sfuggire alla famigerata “tassa sul celibato” proprio perché senza fissa dimora: solo chi non ha niente da perdere può essere veramente libero.
Un affresco affascinante di un passato non troppo lontano nel tempo che ci spinge a riflettere: in quel mondo contadino, nelle valli in cui ancora oggi sopravvive qualcosa di quella cultura, le scelte di vita non allineate alla maggioranza erano molto più rispettate di quanto non sia oggi.
I mercanti della neve rievoca, anche tramite le suggestive poesie in dialetto, fatti storici molto importanti per la valle, come il restauro del ponte sul Dorzegna e la tragica frana del castello nel 1934, e personaggi storici come il fante Tassistro o l’avvocato Ghelardi che pur girando il mondo non vedeva l’ora di tornare nella sua Grondona.
Il libro ha un tono piacevolmente malinconico, nelle poesie possiamo scorgere una stagione dominante: l’autunno. L’autore ha vissuto a cavallo fra due epoche e ci racconta in modo quasi struggente l’autunno di una società e di uno stile di vita, quello appunto della cultura contadina ancora predominante nell’Italia della provincia profonda dell’Appennino fino agli anni Cinquanta.
I mercanti della neve sicuramente invoglia il lettore a visitare i luoghi della Valle Spinti minuziosamente descritti nel libro, e a scoprire una delle valli meno conosciute e turistiche dell’alessandrino.
Qualcosa della semplicità, della libertà, della connessione con la natura e dell’ospitalità dell’antica cultura contadina sopravvive con forza ancora oggi nei luoghi del cuore dell’autore, da Varinella a Ca’ di Lemmi.
Come riportato nello scampolo della poesia Novembre, queste valli sono come un paradiso naturale su questa terra da godersi ora, perché quello nell’aldilà nessuno sa se ci sia.
Andrea Macciò