Genova: a Palazzo Ducale la mostra monografica di un artista che ha scritto la storia dell’arte italiana attraverso una pittura poetica

È stata inaugurata venerdì 22 marzo 2025 a Palazzo Ducale di Genova la mostra monografica “Giorgio Griffa. Dipingere l’invisibile” di un artista che ha scritto la storia dell’arte italiana attraverso una pittura poetica, astratta e performativa, dove il gesto e il segno trasportano il pubblico in un’esperienza sospesa fuori dal tempo.
Le opere di Griffa sono esposte nell’Appartamento del Doge e si propongono di dialogare con la storia e l’architettura dell’edifici. In mostra troviamo grandi tele, opere su carta e installazioni, tra cui un omaggio a Montale nell’anno che celebra i 100 anni di “Ossi di seppia”. Con la mostra dedicata a Giorgio Griffa, Palazzo Ducale inaugura un percorso espositivo per l’anno 2025 nel quale saranno protagoniste l’arte contemporanea, la fotografia e il rapporto tra arti visive e parola, già in parte preannunciato dalla mostra autunnale dedicata a Berthe Morisot dal taglio molto innovativo.
La prima sensazione che trasmette ai visitatori l’allestimento a cura di Ilaria Bonacossa e Sebastien Delot è quello di luce, di luminosità. Il bianco delle pareti e della struttura, liberate dai paraventi e dai supporti delle mostre più tradizionali, dialogano in maniera molto interessante con il lavoro di Giorgio Griffa.
Nella pittura di Griffa la tela si libera non solo dalla cornice, ma anche dal telaio, e tra un segno e l’altro è lasciata vuota dall’artista (un “non finito” quasi preannunciato da quelli di Berthe Morisot). Griffa dipinge per terra, su tele nude: campiture di colore e segni che “potrebbero appartenere alla mano di tutti”.
La sua pittura è stata definita “meditativa”. Giorgio Griffa si considera un figlio dell’astratto e dell’informale, è stato vicino al movimento dell’Arte Povera, ma resta un artista non inquadrabile in nessuna corrente, e nelle sue opere si può cogliere l’influenza delle pitture rupestri e dell’arte rinascimentale. “A un certo punto mi sono accorto che la figurazione si sovrapponeva alla pittura e ho dovuto abbandonarla”. Nella prima sala sono in mostra una tela di grande formato e alcune di formati più piccoli, nei quali l’artista esplora il rapporto tra immagine e parola.
La seconda sala è dedicata ai “segni primari”. L’arte di Giorgio Griffa è paragonata nell’allestimento della mostra al jazz, musica nella quale l’improvvisazione e l’interpretazione sono elementi chiave. Il “non finito” è il cuore della poetica di Griffa: segni e campiture di colore non riempiono mai la tela, le opere rimangono come sospese, secondo una poetica che rimanda alla filosofia zen.
La mostra documenta anche il rapporto di Griffa con la fisica e la matematica, con la sezione dedicata alle rappresentazioni del “numero aureo” e con un video ricostruisce l’attività pittorica di Griffa nella creazione di una delle opere in mostra, “Disordine” e la tecnica del “dripping” che ricorda quella di Jackson Pollock e dell’action painting, e rappresenta un’interessante proposta culturale per Genova.
Nelle ultime due sale troviamo un’installazione ispirata da una poesia di Montale, che rappresenta un esempio di “poesia visiva” e un manifesto contro la “pittura da cavalletto” dalla quale Griffa si è sempre tenuto lontano, e una sala conclusiva che esplora il rapporto tra il segno e il colore dell’artista torinese e quello di Matisse. Il percorso si conclude con una serie di illustrazioni sul tema dell’arabesco.
La mostra di Griffa rappresenta una scelta espositiva molto innovativa per Genova e Palazzo Ducale, per la scelta di un artista contemporaneo non notissimo al grande pubblico, nonostante abbia un posto molto importante nell’arte italiana del secondo Novecento, e per la “liberazione” dello spazio con un allestimento luminoso e che valorizza anche il “vuoto” delle sale permettendo al visitatore di cogliere alcuni particolari delle decorazioni del palazzo. Da un paio di anni in città c’è un dibattito acceso sulle scelte espositive, dopo anni nelle quali almeno le mostre “principali” quelle nell’Appartamento del Doge, sono state dedicate ad artisti del periodo rinascimentale e barocco come Rubens e Artemisia Gentileschi, con opere di grande valore, ma che potevano essere percepite come prive di slancio innovativo e volontà di ricerca, con la mostra di Griffa Palazzo Ducale si apre al contemporaneo e al dialogo con le nuove generazioni, grazie anche a un allestimento quasi rivoluzionario per questo spazio.
Andrea Macciò
CHI È GIORGIO GRIFFA
Giorgio Griffa nasce a Torino nel 1936 e inizia a dipingere da bambino. Con oltre 50 anni di pittura, Giorgio Griffa (Torino, 29 marzo 1936) annovera tre Biennali di Venezia (nel 1978, 1980 e 2017) e oltre 200 mostre personali in musei e istituzioni di tutto il mondo, tra cui quelle organizzate da Ida Giannelli, negli anni ‘70-‘80, proprio a Genova alla SamanGallery. Già a metà degli anni Sessanta le sue tele mostrano i primi elementi di astrazione e una profonda riflessione sullo status della pittura. Dal 1967/68 con il ciclo Segni primari prende forma il suo sistema di lavoro su tele libere, non preparate, dipinte a terra, con tratti e linee che «potrebbero appartenere alla mano di tutti». Griffa è da subito uno dei protagonisti nel dibattito che nasce dall’Informale e si fa strada tra la Pop Art, il Minimalismo e l’Arte Concettuale. Percorre così i primi passi del suo personale sentiero d’artista, accanto agli amici dell’arte Povera con cui condivide il rispetto e l’interesse per l’intelligenza della materia. Dopo più di cinquant’anni di carriera e tredici cicli di pittura, il percorso di Griffa rimane unico, al di fuori di una corrente specifica. Nelle collezioni e musei nel mondo, dalla Tate Modern al Centre Pompidou, i suoi segni e i suoi colori sono altamente riconoscibili: una cifra che passa con continuità e coerenza, vitalità e poesia da un’opera all’altra. (A.M.)
