A proposito della vicenda del Monte Tariné, sempre nelle mire delle società minerarie che vorrebbero speculare sulla sua ricchezza di titanio; e per il quale la Regione Liguria ha, purtroppo, rilasciato una concessione a compiere dei sondaggi (con il timore che ciò sia il preludio a uno sfruttamento su larga scala): si è già parlato su questa testata dei numerosi rischi che ciò comporterebbe per l’ambiente e la salute del comprensorio. Tra questi, vi è la forte presenza di amianto. Che, come ormai noto e ampiamente dimostrato, se disperso in aria e respirato costituisce un rischio di aumento dell’incidenza di alcuni tumori.
Quello della cancerogenicità dell’amianto è uno dei tanti fatti scientifici che, inizialmente, per molti anni, è stato contestato da chi, per interesse economico, voleva sottostimare il problema. Anche mettendo in dubbio i risultati delle ricerche scientifiche più serie.
Ciò merita una riflessione più generale, con qualche consiglio di lettura.
Dubitare è non solo lecito, ma doveroso. In tutti i campi, nella vita quotidiana come nello studio. Nella scienza moderna, il dubbio è ciò che determina la necessità di controllare, verificare continuamente ogni conclusione, anche quelle che sembrano acquisite, per quella possibile opera, per citare Karl Popper, di “confutazione”.
Ma fino a che punto è opportuno dubitare? Est modus in rebus, c’è una misura nelle cose. Se si esagera, si finisce col non credere mai a niente, anche alle verità inconfutabili. Arrivando a ogni tipo di aberrazione, come il ritenere la Terra piatta; o a considerare un complotto dietro ogni azione su larga scala.
Di là dalle talora folcloristiche e persino divertenti strampalate teorie che a volte si diffondono nella parte più ingenua del pubblico, il problema diventa spesso molto più serio e investe questioni d’importanza fondamentale. Crediamo sia dovere per chi, anche nel suo piccolo, fa in qualche modo informazione, tenere ben presenti alcune tecniche che devono essere smascherate.
Per questo, sembra utile consigliare una lettura di grande chiarezza (sarebbe un ottimo testo per tutte le scuole medie superiori). Si tratta di un libro, Mercanti di dubbi il titolo, scritto dagli statunitensi Naomi Oreskes ed Erik M. Conway nel 2010; ma tradotto in Italiano e pubblicato nella nostra lingua solo di recente (per Edizioni Ambiente). L’edizione italiana è arricchita anche dalle attualissime prefazioni di Donatella Baus (direttrice del magazine della Fondazione Umberto Veronesi) e di Stefano Caserini; inoltre, da una recente intervista all’autrice Naomi Oreskes.
Nel libro si spiega come, in diverse occasioni, le lobbies interessate a determinate produzioni abbiano coinvolto una minoranza di scienziati prezzolati o manipolati o desiderosi di rivalse verso la comunità scientifica, per diffondere disinformazione. Generando continuamente dubbi sulle verità acquisite dalla parte sana (e maggioritaria) del mondo scientifico. Si tratta prima della lunga battaglia per dimostrare che il fumo di sigaretta fa male, e molto (dato ormai ampiamente acquisito, ma lungamente contestato per decenni). In modo simile, si è cercato di ostacolare le misure contro le piogge acide (che qualcuno voleva attribuire alle eruzioni vulcaniche anziché alle emissioni inquinanti), o contro i CFC (clorofluorocarburi) responsabili della distruzione dell’ozono nella stratosfera. E successivamente, e questo è in corso ancora oggi, nel tentativo di sminuire o rovesciare i notevoli dati acquisiti sul cambiamento (in peggio) climatico, dovuto ai gas serra prodotti dall’uomo. Nel primo caso a opera della potente lobby dei produttori di tabacco. Nel caso dell’emissione di gas serra, per via d’interessi economici ancora più diffusi, che spaziano dai produttori di combustibili ai molti gestori di attività con effetto climalterante. Con effetti anche sulla politica, esistendo determinati settori che appoggiano apertamente quest’opera di disinformazione (nel libro non sono citati poiché esempi più recenti, ma le posizioni negazioniste d’importanti personaggi come Trump e Bolsonaro si possono facilmente associare a queste politiche).
Come dice nella sua intervista la Oreskes, questo tipo di disinformazione “è diventato un virus che si è sparso come una pandemia contaminando svariati ambiti della conoscenza. Questo virus è stato sfruttato dai cosiddetti populisti per conquistare consenso e convincere le persone ordinarie che non devono dare fiducia agli esperti, che non ci si può fidare degli scienziati (…). In questo modo si è creata una situazione dove non si può avere fiducia in nessuno, dove la nozione di fatto è messa in discussione e chi grida più forte ha ragione (…). Perché tutto quello che si vuole creare è confusione, non imporre una verità sull’altra, ma semplicemente confondere e spingere all’inazione (…). Si è diffusa una cultura del sospetto, del dubbio, che esula dalla normale critica e confutazione. I social media sono l’ultima incarnazione, e il mezzo più efficace data la loro estrema diffusione”.
In pratica, come dice Donatella Baus: “Lo spaccio di dubbi costruiti ad arte e falsi come monete da 3 euro”.
Non si tratta solo, per quella minoranza di scienziati che hanno contribuito a diffondere false informazioni, di vendere la propria reputazione in cambio di altri beni. Come rileva Caserini, vi sono casi “in cui gli scienziati hanno approfittato del loro ruolo per promuovere la loro visione ideologica, e il confine tra buone intenzioni e malafede spesso sbiadisce”. Infatti, molti degli scienziati che si prestano a manipolare i fatti e a disinformare non lo fanno necessariamente in cambio di compensi. Spesso vogliono sostenere un’idea ultraliberista, che vede ogni regolamentazione a favore dell’ambiente e della salute un attacco alla libertà d’impresa; e gli ambientalisti sono considerati come promotori di una società socialista. Trasferendo nel campo dell’ideologia politica un dibattito che dovrebbe invece attenersi ai fatti dimostrati. Sono create delle contro-narrative infarcite di asserzioni suggestive ma sostanzialmente false, che mirano a confondere l’opinione pubblica influenzare i decisori politici. Oggi ancora più che nel passato, potendosi avvalere, la disinformazione, della moltiplicazione incontrollata di bufale grazie alle facili e superficiali condivisioni sui vari social.
Il ruolo dell’informazione è cruciale. Non si possono mettere sullo stesso piano verità fattuali con teorie senza base reale. Nel confronto politico è giusto dare uguale spazio a due schieramenti principali contrapposti, trattandosi di opinioni; invece, nel dibattito scientifico, non si può fornire la stessa rilevanza, ad esempio, a chi spiega la teoria dell’evoluzione biologica e a chi continua a negare l’evidenza e insistere su una sua inesistenza. O, come esempio ancora più estremo, come se si volesse fornire pari dignità a chi spiega la meccanica dei corpi celesti e a chi ritiene che sia il sole a girare attorno alla Terra.
Per citare ancora gli autori del libro: “La scienza non è un’opinione. Si basa sulle evidenze, e progredisce attraverso affermazioni che possono o debbono essere verificate sperimentalmente. (…) Il dubbio ha un’importanza cruciale per la scienza – quello che noi chiamiamo curiosità o scetticismo è ciò che spinge la scienza a progredire – ma nel contempo la rende vulnerabile alle rappresentazioni fuorvianti, in quanto è facile decontestualizzare le incertezze e creare l’impressione che ogni cosa sia ancora incerta”.
Sono problemi seri, ma se vogliamo aggiungere un commento un po’ scherzoso, è divertente notare come coloro che non credono mai a nessuna verità ufficiale e spingono agli estremi l’esercizio del dubbio, spesso finiscono col fidarsi ciecamente e consegnarsi a qualche ciarlatano la cui credibilità è sotto lo zero.
Stefano Rivara
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